Era solo un incubo
Mio adorato Casteldimezzo, stanotte ho fatto un incubo.
Ho sognato una vita da piccolo borghese, un piccolo, miserabile borghese come i tanti che brulicano per le via di una città, una qualunque, non importa quale. Tanto sono fatte tutte allo stesso modo, di automobili e cemento.
Ho sognato di essere uno schiavo dei tempi moderni, venuto al mondo per raggranellare e ridistribuire più denaro possibile, destinato a trascinare un fardello sempre più carico di futilità, sempre di più. Bollette, finanziamenti, affitto, pensieri, preoccupazioni, paure. Una vita che procede spedita verso il nulla e che va a sbattere, nell’indifferenza di mille altri miserabili costretti a ritagliare con fastidio del tempo per partecipare ad un funerale di cui nessuno, qualche giorno dopo, ricorderà nulla. Per tornare allo squallore del quotidiano con l’amara consapevolezza che prima o poi sarà il tuo turno, un giorno sarai tu a procurare la seccatura di una cerimonia triste e senza onore.
Vedevo i miei anni migliori sfuggirmi come sabbia tra le dita, senza poter fare nulla. Come una rotella che gira all’impazzata in un meccanismo che maciulla tutto.
La giornata iniziava con il beep del timbratore all’entrata dell’ufficio e terminava otto ore dopo, con lo stesso, odioso suono. Un beep che scandiva il ritmo della mia vita.
Un’esistenza che valeva esattamente il reddito prodotto. Non un cent di più.
Mi sono svegliato con un’ansia indicibile, come se avessi vissuto davvero quella penosa condizione. Ho messo pian piano a fuoco ciò che avevo intorno. Una casetta minuscola, essenziale, ma dignitosa. Qualche vecchio mobile, un computer che ha visto tempi migliori. Pochi vestiti buttati un po’ alla rinfusa, uno scaffale di libri che raccontano di stelle e di nuvole, di tutto ciò che si trova in cielo; di sogni, insomma. Nel piccolo balconcino la mia bici, che scalpita per la nostra quotidiana avventura. Una finestra che dà sul mare, cento e qualcosa metri più in basso, un mare che presto l’alba dipingerà con i suoi meravigliosi colori. La brezza che profuma di salsedine, e tante piccole lucine che scintillano all’orizzonte nel silenzioso brusio della campagna.
Esco di casa e alzo lo sguardo. Sulla facciata della casa vicina una vecchia incisione riporta il nome del borgo in cui vivo da un’eternità: Casteldimezzo.
Respiro.
Prepariamoci per una nuova giornata al cospetto del cielo e del mare. Vissuta di espedienti, certo, con qualche spicciolo in tasca e senza le tante comodità (o mollezze?) che la vita moderna può offrire. Ma sarà l’ennesima giornata fatta di mille piccole gioie: un raggio di sole, le nuvole che corrono in cielo, il vento fresco che sale dal mare, il lontano mormorio delle onde e tanto, tanto azzurro.
Era solo un incubo, mio adorato Casteldimezzo.